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Sayad – Eguale partecipazione all’ordine comune della nazione

UN DIRITTO CIVICO: L’EGUALE PARTECIPAZIONE ALL’ORDINE COMUNE DELLA NAZIONE

[prosegue da qui]Noi chiameremo «diritti civici», una migliore e più giusta ripartizione dei profitti della collettività, un accesso più giusto e più democratico alle istanze che presiedono a questa ripartizione, così come un controllo più rigoroso dei meccanismi. Tra i pregiudizi causati talvolta dalla perversione di certe istituzioni – sebbene inspirate e animate, alla loro origine e anche oggi ancora, da buone intenzioni – è necessario, tra le altre cose, riparare la doppia ingiustizia che risulta dalla confusione commessa tra trattamento comune, cioè allo stesso titolo di tutti gli altri gruppi, e trattamento specifico*1. Senza dubbio, quest’ultimo portava in se l’illusione di una più grande efficacia e di un rendimento sociale più elevato, ma porta in se la perniciosa tendenza a trasformarsi in un trattamento veramente discriminatorio. Al contrario, il trattamento comune, se sembra perdere in influenza immediata, a di per se il vantaggio simbolico d’essere più conforme all’ideale della democrazia. Il trattamento «specifico», in se discutibile, sospetto, non può giustificarsi che nella misura in cui contribuisce a riparare o attenuare le ineguaglianze esistenti, per popolazioni inegualmente equipaggiate, nell’accesso ad un trattamento sociale comune che si vuole uguale per tutti. Ma, nei fatti, appare evidente che non si tratta di moralizzare un trattamento manifestamente ineguale e discriminatorio: eguaglianza di diritto e ineguaglianza di fatto!
    La routinizzazione dei servizi incaricati di questo trattamento specifico, l’indigenza dei mezzi materiali e umani destinati a questi servizi, la confusione che circonda le loro azioni, l’ignoranza – e, più di questa, la dis-intelligenza (o stupidità) – dei problemi reali dell’immigrazione, la tendenza etnocentrica ad identificare i problemi degli immigrati con i problemi che ha la società di fronte all’immigrazione e, sfortunatamente, la facilità alla quale si lasciano spesso andare i gestori del sociale preposti all’immigrazione, tutto ciò ha condotto ad escludere gli immigrati dai fondi comuni, dai circuiti cumuni attraverso i quali si opera la redistribuzione della ricchezza nazionale, col pretesto che questi dispongono di fondi a loro propri, quelli del Fondo d’Azione Sociale*2. E’ tempo che, per una maggiore giustizia e probità sociale e intellettuale – o, di probità tout court – si riveda da cima a fondo il trattamento specifico dell’immigrazione, la deontologia che vi risiede, cioè, in fondo, la filosofia dell’immigrazione. Siamo lontani dalle buone intenzioni e dalle professioni di fede proclamate inizialmente, secondo le quali l’azione specifica non doveva per nulla al mondo sostituirsi all’azione comune, che resta la regola della democrazia, ma doveva avere il carattere di una prima forma di compensazione – nel modo di uno sforzo aggiuntivo – delle difficoltà iniziali, dello slittamento che patiscono le popolazioni immigrate.
    In generale, ciò che qui è messo in causa, è la definizione stessa dei problemi e dei bisogni reali della popolazione immigrata, così come delle soluzioni da trovare a questi problemi e bisogni; è l’identificazione che la società opera tra i suoi propri problemi e quelli degli immigrati. Porre ciò che si credono essere i problemi degli immigrati ritorna, nei fatti, a porre i problemi dell’ordine sociale, morale, politico nel suo insieme come se l’immigrazione consituisse una minaccia e un rischio di perturbazione dell’ordine della nazione. Insomma, ciò che domanda di essere riconsiderato totalmente e rapidamente è la prospettiva stessa a partire dalle quale si parla dell’immigrazione, da cui, a sua volta, si definisce in maniera autonoma ciò che l’immigrazione è e quali siano i suoi problemi[continua].

Note

*1 Ancora oggi, gli Algerini non sono sottomessi alle stesse regole degli altri stranieri residenti in Francia: il loro statuto è regolato da una convenzione bilaterale rinegoziata periodicamente tra i due Stati [NdE].
*2 Incaricato di finanziare programmi di azione sociale destinati agli stranieri, il Fondo d’Azione Sociale (FAS) ha allargato il suo campo di competenze diventando, nel Novembre 2001, il Fondo d’Azione e di Sostegno per l’Integrazione e la Lotta contro le Discriminazioni (FASILD)[NdE].

SAYAD Abdelmalek, L’immigration, ou, les paradoxes de l’altérité.Tome 2: Les enfants illégitimes, Raisons d’Agir Ed., Paris, 2006.

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Sayad – Eguale partecipazione alla ricchezza della nazione

UN DIRITTO CIVICO: L’EGUALE PARTECIPAZIONE ALLA RICHEZZA DELLA NAZIONE

[prosegue da qua] Noi chiamiamo «diritti civici», la partecipazione della popolazione immigrata strictu sensu e di tutte le sue propaggini – allo stesso titolo di tutte le altre componenti sociali, e su un piano di eguaglianza con esse – alla giusta ripartizione dei profitti e delle benefici che procura la collettività alla quale si appartiene di fatto. Attraverso il loro lavoro, la loro presenza all’interno della società, grazie al loro apporto economico, demografico, culturale, etc, i migranti partecipano direttamente, o in modo appena mediato, alle ricchezze materiali e simboliche della nazione. Deve perciò ritornare loro una parte che renda giusitzia al loro contributo e che tenga in conto le condizioni, le difficoltà e i bisogni che sono loro propri. Come una sorta di «Terzo Mondo all’interno del mondo sviluppato», l’immigrazione si vede messa nella stessa posizione che i Paesi del Terzo Mondo di fronte alla ricchezza dei Paesi sviluppati, e cioè di fronte alla ricchezza della società nella quale vivono e alla quale contribuiscono. Così come ci si aspetta dai popoli del mondo povero che «si sviluppino» per godere dei benefici dello sviluppo, così si attende che gli immigrati «si naturalizzino» in nazionali e, nello stesso tempo, in cittadini; detto altrimenti, che spariscano come immigrati per godere dei benefici della collettività dei nazionali e dei cittadini.
    Non si può che essere spaventati e scandalizzati dalle proposte che intendono instituire un regime di discriminazione in materia di vantaggi sociali. Escludere gli immigrati dal beneficio degli alloggi, cosidetti, «a vocazione natalista» col  pretesto, da principio, che essi hanno molti bambini e che divenga inutile se non pericoloso d’incitarli a procreare di più e, in seguito, col pretesto che i bambini che essi produranno, anche se questi nasceranno francesi o diverranno francesi al compimento della maggior età, non saranno mai dei Francesi come gli altri, è una misura francamente razzista e segregazionista. La distinzione di sorta che viene operata, su dei criteri apparentementi ragionevoli, si fonda in realtà sull’opposizione irriducibile tra stranieri europei e stranieri originari dei Paesi del Terzo Mondo, i veri «barbari». In più, i primi sono difesi e protetti da accordi internazionali forti e stringenti, mentre i secondi sono sotto la giurisdizione di magre convenzioni firmate tra partener totalmente ineguali. Dei semplici trattati che, permettendo agli uni di «importare» un supplemento di mano d’opera e agli altri di «esportare» un surplus di uomini disponibili, non fanno altro che stabilire una forma moderna di tratta. E, dopo tutto, gli aiuti che si aggiungono alle c.d. "allocazioni familiari"*1 non sono forse quelle, come questi, una parte differenziata del salario? Oltre le considerazioni di ordine morale, che non sono mai assenti dalle disposizioni tecniche, non è forse proprio in difesa degli interessi dei lavoratori nazionali , cioè in vista di prevenire la concorrenza che sarà loro portata dai lavoratori immigrati e, in seguito, in vista di dissuadere il patronato dal ricorso esagerato all’immigrazione, che è stata instaurata l’eguaglianza dei salari tra gli uni e gli altri? [continua] 

*1 Insieme di aiuti alle famiglie comprendenti aiuti all’affitto, copertura sanitaria e altri servizi, anche direttamente monetari [NdT].
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SAYAD Abdelmalek, L’immigration, ou, les paradoxes de l’altérité.Tome 2: Les enfants illégitimes, Raisons d’Agir ED., Paris, 2006.

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D.E.P. 3° Puntata: “Skater Boy o, Lo Stile”

"Skater boys: lo stile"
Nel piccolo parco in cui mi avventuro 3 giovani pressapoco della mia età (25/30 anni) si stanno allenando su una rampa da skate, una "pipe".
Il primo, bianco, rasato e muscoloso, sembra essere più grande degli altri, ma "nuovo" della "pool".
Prova una serie sempre uguale di "tricks": grind 50-50 (che esegue quasi sempre ottimamente), hang-up in varial e, infine, tenta un jump 90° che si rileverà essere la sua bestia nera. Ogni tanto, forse per spezzare la noia, aggiunge un tentativo di hellflip che lo fa puntualmente finire a terra e scatena le risa dei "compagni".
Il secondo a salire in rampa è un ragazzo di colore (sul beur) con una folta chioma di ricci (sembra la versione atletica di Esa ;P).
Anche lui prova gli stessi tricks del compagno, all’inizio con maggior maestria; poi si attacca al cellulare e passerà il tempo restante a commentare le gesta degli altri, a fornire consigli e perfezionare appuntamenti per telefono.
Il terzo è decisamente il più giovane, sui 25 anni, mostra a torso nudo le ore passate in palestra. Di tanto in tanto lancia un’occhiata dove nel frattempo ho trovato da sedermi per ammirare con più calma, sigaretta, le loro gesta.
A un certo punto il tipo dalle sembianze "afro" dice, da quello che ho capito dal suo francese veloce e tagliato, che sta andando ad un rendez-vous vicino ad una stazione della RER di cui non comprndo il nome, invitando il "socio" più giovane ad accompagnarlo.
Finisco la sigaretta e, lentamente, me ne vado, lasciando di fatto il parco a due ragazzini "black et beur" che nel frattempo hanno preso possesso del campetto da calcetto à coté della rampa: il più giovane, di evidenti origini maghrebine, ha un ottimo tiro, preciso e potente, per la sua età; il "black" è decisamente più grosso, meno tecnico. Come si dice nell’ambiente calcistico: "E’ nato per fare il difensore". O "sperare di diventare grasso" [cit. Paolini, Aprile] e darsi al rugby, primo sport nazionale francese.
Faccio un altro giro passando ai piedi di altri palazzoni. Le auto parcheggiate confermano l’estrazione popolare dei proprietari: piccole utilitarie, vecchie Renault dai colori ingialliti, cheap but not so poor!
Ora davanti a me camminano due ragazze, adolescenti, di colore; sfoggiano un abbigliamento molto "vistoso", stile un po’ "cool gangsta queen" che in Italia non ha termini di paragone.
Una delle due è anche veramente molto bella.
Ha i capelli ricci, tenuti insieme in una lunga coda da cui sfuggono, ribelli, numerose ciocche. Ha decisamente "stile".
Già dal modo di camminare, si capisce che è cosciente di tutto ciò e che, se possibile, tenta di accentuare ancora di più con le movenze il suo fascino.
Ciò è confermato anche dall’atteggiamento "gregario" dell’amica, comunque carina, che le cammina di fianco, girandosi spesso per interpellare l’amica che, invece, rimane con lo sguardo fisso in avanti a "sfidare" la  strada, i palazzi e le auto parcheggiate.
Non ci sono altre persone a parte noi sulla strada. Il sole è ancora alto e caldo.
Curva a destra, discesa[…]

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D.E.P. 2° Puntata: “La scuola “Anne Frank” (in lotta)”

"La scuola "Anne Frank" (in lotta)"
MAIRIE DE MONTREUIL – la ville si presenta subito molto pulita, luminosa e accogliente.Ma in fondo sono ancora trepidante: è pur sempre una banlieue multietnica!
Prendo un vialone, rue Pasteur, che sale giusto di fronte alla sortie del metro.
Palazzi bassi (3 o 4 piani), in stile unico (non come a Paris-ville, dove le facciate rivelano tramite i colori e gli stili i diversi momenti di costruzione: un patchwork) pressoché identici, ma "borghesi". Le facce che incrocio cominciano a convincermi che sono in una zona multietnica.
Giro a sinistra, rue Hoche. In lontananza si vedono dei "blocchi" che sembrano altissimi. In realtà svettano sul paese dalla cima di una piccola collina. Montreuil è in salita!
Raggiungo un vialone che in quel momento mi da l’idea di essere una sorta di confine tra il piccolo centro città e la "periferia della periferia".
Più tardi, imbattendomi in una carte de la ville, mi accorgerò di essermi sbagliato (ma non troppo). Continuo a salire, deciso a raggiungere i grandi "batiments" sulla collina.
Passando davanti ad una scuola elementare, alcuni cartelloni appesi ai muri esterni mi informano di una lotta in corso.
"Il etais une fois", recita lo striscione appeso sopra il motto nazionale "Liberté, égalité, fratérnité", presente sulla totalità delle facciate degli edifici scolastici.
Un altro cartellone, sempre sopra l’ingresso: "Solidarité parentale". A lato, un cartello annuncia l’inizio di un’assemblea dei genitori che comincerà tra circa un oretta.
Vorrei fermarmi a chiedere informazioni, ma mi sento ancora fuori posto, senza un vero motivo per essere là, se non l’osservazione.
Un gruppo di maman in abiti africani e passeggino d’ordinanza rompe i miei indugi, costringendomi a lasciare loro il passo sul marciapiede.
Mi guardo intorno. Vedo i palazzoni spuntare sopra i tetti bassi delle villette di rue Anne Frank (che da il nome anche alla scuola ).
Ricomincio a salire.
Arrivato ai piedi del primo palazzo, mi giro a contemplare il mio cammino. Dall’altra parte della strada ancora villette ben curate e probabilmente sogno realizzato della piccola e media borghesia cittadina.
Quà e là qualche casa abbandonata all’incuria mi fa venire in mente che quella collinetta potrebbe essere il risultato di una recente espansione residenziale di Montreuil.
"Le clos français", questo il nome del complesso di "blocchi", ampi parchi e spazi verdi, nei quali fioriscono come cuccioli numerose scuole d’infanzia, elementari e chissà cos’altro; sembra un enorme villaggio vacanze, mancano solo le palme e le piscine!

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DiARIO Etnografico Personale: 1° Puntata

18/07/09

"Aisha e il rocchetto di Freud"
[…]Non ho più appuntamenti, non ho niente da fare, ma non ho voglia di tornare nello studio di S.Paul: troppo fighetto il quartiere, niente ch valga la pena di fare, di dire e di vedere. Decido non appena vedo il cartello della Metro: n° 9, direction MONTREUIL.

In metro, la piccola Aisha mi tiene compagnia sdraiata beata nel suo passeggino: gran sorrisi, urletti, mezze parole (Aisha, deduco, non parla ancora), mentre gioca con il braccialetto di mamma, una franco-africana molto elegante che ha occhi solo per la figlia.
Aisha ha forse meno di un anno, ma i bambini, si sa, racchiudono incosciamente tutta la saggezza delle vite che li hanno preceduti.
Aisha gioca con la madre: le dona il suo (della madre) braccialetto in cambio di un "merci, Aisha", e poi torna immediatamente a reclamarlo con movimenti veloci delle sue piccole braccia. Una volta ritornata in possesso del suo "tesoro", Aisha si gira verso di me e me lo mostra, un po’ vanitosa: "Hai visto che bello il mio braccialetto – l’ho riavuto anche stavolta!" – sembra dirmi sorridendo.
Maman dice ad alta voce "merci, maman", a richiamare la figlia sul gioco che le lega, ma stavolta
Aisha non se ne cura troppo; è troppo impegnata a vantarsi con me, (della) sua "ultima conquista".
Non riesco a non sorriderle, ma sono già un po’ stanco dopo una giornata passata qua e là a visitare appartamenti e non mi viene nient’altro inmente che farle una linguaccia.

Mi viene in mente la storiella del "rocchetto di Freud" (in realtà, era un Freud nipote del più famoso "inventore" della psicanalisi) che raccontava Bellasi durante l’unica sua lezione che sono riuscito a vedere, quando ancora non ero a Bologna e pendolavo tra Brescia, Milano e, una volta al mese, Bologna, per andare a trovare i miei affetti.[…]

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La Dittatura del Proletariato o Imparare dal passato

Questo articolo di Valerio Evangelisti su CarmillaOnLine mi ha fatto morire dal ridere:

[…]Ferrero annuì. «Ottima proposta. Portatemi qua Negri. O magari Casarini.»
Ferrando assunse un’espressione desolata. «Fucilati tutti e due. Pochi minuti fa.»
«Ma perché?»
«Il Comitato di Salute Pubblica li ha definiti deviazionisti. Sostenevano l’assimilazione degli ex ceti medi al proletariato.»
Senza dare nell’occhio, Sergio Bologna infilò la porta.[…]

I "ruoli" della "pièce" sono distribuiti con un ironia che già da sé "vale il prezzo dell’abbonamento internet" – sicuramente Evangelisti ha letto Spriano.

Ma ve lo immaginate Ferrero nella parte di Lenin?E la coppia Diliberto-Rizzo, nei panni di Stalin-Bucharin?

Il raccontino si chiude poi con un "lieto fine" davvero inatteso in mezzo a tutto questo "realismo" che ci circonda…

…ma non voglio bruciarvi il finale, quindi…

Leggetelo.

 

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Un diritto civico: esistere in sé – Sayad

Un diritto civico: esistere in sé

 

[prosegue da qui] Chiamiamo «diritti civici» il diritto di esistere come immigrati, ma senza che questa esistenza sia subordinata a qualche altra finalità esterna ad essa, a qualche altra finalità che essa stessa. E’ il diritto d’esistere in sé, di esistere legittimamente, senza che questa esistenza sia l’oggetto di una necessaria giustificazione – fornita, va da sé, dal lavoro – e di conseguenza dal sospetto. Il sospetto può basarsi sulla necessità della giustificazione, sulla sincerità di quest’ultima, ed è allora il lavoro stesso dell’immigrato che viene denunciato, è il fondamento «giusto» dell’immigrazione che è contestato, rimanendo l’immigrato sempre sospetto di essere superfluo, di troppo, di usurpare la sua presenza. Il sospetto può basarsi anche sulla realtà stessa della giustificazione che l’immigrato può dare alla propria presenza, la realtà contestata, negata, del suo lavoro. Ogni immigrato è quindi individualmente sospettato di essere un «clandestino» , cioè un uomo la cui presenza non è accompagnata da quella giustificazione ultima che è il lavoro che compie e, praticamente, è suscettibile in ogni momento di essere ricacciato nella «clandestinità». Alla fine, ogni immigrato è sospettato d’essere un imbroglione, un mentitore, un clandestino – effettivo o virtuale, poco importa!

Concretamente, è il diritto d’esistere, perfino in quanto disoccupato, e comme tutti gli altri disoccupati, senza vedersi ricordare la propria condizione di lavoratore prima di ogni cosa e più essenzialmente che il proprio essere; senza vedersi rinviato a qualche altra legittimità, a qualche altra origine. E’ giusto qui che si situa la frontiera che separa gli uni dagli altri, quelli che hanno una "qualche parte" in cui essere rinviati, di fatto o di diritto, e quelli che non si può rinviare, né di fatto né di diritto, poichè sono «a casa». E volere che gli immigrati siano effettivamente «a casa» e non solo «come a casa», cioè illusoriamente a casa quando in realtà sono dagli altri, da noi, esige che si diano loro i mezzi e le ragioni di sentirsi "a casa" o, meglio, che si accetti che essi conquistino questi stessi mezzi e ragioni, di cui il diritto di voto rappresenta la condizione e la conclusione di tutto ciò. Altrimenti, come ormai tutti hanno capito, il «fate come a casa vostra» resterà solo una formula di educazione, poichè non sfugge a nessuno, né alla persona invitata, né alla parte invitante, che la frase «sentitevi a casa» (marhaba) non autorizza che «si sia a casa», quanto piuttosto che l’invitato si scusi e ringrazi per tanta sollecitudine a suo riguardo. In caso contrario, egli non sarà che un ingrato, un rozzo, un «barbaro». Educazione e politica*, ancora una volta.[continua]

Abdelmalek SAYAD,L’immigration ou, les paradoxes de l’altérité. Tome 2. Les enfants illégitimes, Ed. Raisons d’Agir, Paris, 2006.

* Nel testo in francese, Sayad gioca sulla somiglianza di "politesse" (buona educazione) e "politique" (politica).

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Il diritto di voto – A. Sayad

Il diritto di voto

[prosegue da qui] Si intende per «diritto civico», il diritto ad essere un attore politico, il diritto ad istituirsi ed essere istituito come attore politico. Questo diritto trova la sua consacrazione ultima nel fatto di essere elettore ed di essere eleggibile. Non è che si debba sottostimare questo aspetto della vita civica, al contrario; ciononostante, anche se il diritto di voto fosse riconosciuto e esistesse formalmente (il diritto di eleggere e il diritto di essere eletti, i due insieme o, quanto meno, il primo), sarebbe sufficiente per cancellare le ineguaglianze e per riparare le ingiustizie delle quali sono vittime gli immigrati esclusi o allontanati dalla decisione politica? Non basterebbe se le condizioni sociali alla base, necessarie per renderlo effettivo e per conferirgli efficacia, continuassero a mancare. Ma queste stesse condizioni, potrebbero esse realizzarsi in assenza di questo diritto fondamentale e indipendemente da esso? L’uno non è possibile senza l’altro. Il diritto di voto, mentre è allo stesso tempo esigenza fondamentale e un diritto all’apparenza elementare, è anche l’esito supremo, la consacrazione ultima, poichè è il diritto ad avere dei diritti, quindi il diritto di rivendicare, lottare e conquistare questi diritti e non di riceverli solamente, di restare in attesa di riceverli. E’ la legittimità ad avere dei diritti che rende legittimi i diritti che si hanno e quelli che non si hanno ancora.

L’evoluzione dei fatti, cioè la realtà stessa dell’immigrazione, più che l’evoluzione delle idee su questo rapporto, fa che sempre di più il «diritto civico», nel sensodell’atto per il quale si manifesta e si celebra la cittadinanza, venga acquisito a partire dal giorno di nascita o della maggior età da un gran numero di persone che si continuano a raggruppare nella categoria di immigrati. Questa evoluzione cambia un po’ i termini nei quali si pone o è posto il problema del diritto di voto. Questo vuol dire che, al ritmo a cui stanno andando le cose, la rivendicazione del diritto di voto sta diventando anacronistica, sta diventando una battaglia di retro-guardia? Una battaglia in ritardo, perchè la realtà sociale, precedendo la trasformazione dei modi di pensare, avrà ragione delle lentezze del corpo e del pensiero politico?

Anche se fosse così, nel diritto niente sarà cambiato.

Continued…

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Nei campi profughi in Libano, “l’hip hop è una scuola” (di vita)

Questo articolo è stupendo!

Da Electronic Intifada via Zic.it.

Pubblichiamo
una nostra traduzione dell’articolo di Rasmus Bogeskov Larsen per
Electronic Intifada. Rasmus Bogeskov Larsen è un giornalista freelance
di stanza a Beirut.

Questo articolo è apparso per la prima volta in Danimarca sulla rivista musicale “Soundvenue”

(trad. in italiano di da.gagl.)

Non c’è voluto molto, dal suo piccolo, ingegnoso studio, per raggiungere il suo obiettivo.
Tre teenagers passeggiano in un vicolo stretto, cellulari in mano, scambiandosi dei beat scratchati.

“Quella è una delle nostre canzoni”, ricorda Yasin.

Continued…

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Esistere civilmente (sempre Sayad)

Esistere civilmente

 

[continua da qui]

Cosa vuol dire "esistere civilmente"?

E’ il diritto ad avere dei diritti, cioè ad essere soggetti del diritto, allo stesso titolo dei "nazionali", e non solamente un oggetto del diritto.

E’ il diritto di appartenere ad un corpo politico, di avevi il proprio posto, è il diritto di dare senso e ragione al proprio agire, alle proprie parole, in breve, alla propria esistenza; il diritto adavere una storia, un passato e un avvenire; il diritto di appropriarsi della possibilità di gestire il proprio presente e il proprio futuro. Questo inizia dalla determinazione di inscrivere il proprio avvenire, e anche il proprio passato, laddove si gioca all’istante e immediatamente il presente:tutti questi giovani, non sono forse "figli di immigrati" , di conseguenza, non hanno forse il loro passato e anche quello dei loro genitori, nell’immigrazione?

Una determinazione alquanto coraggiosa quando si conosce bene lo sradicamento ch’essa suppone, quando si sa tutto ciò contro il quale si è dovuto lottare per acquisirla prima ancora di riuscire ad imporla. Bisogna, allora, permettere una buona dose di rinunce per evitare che essa prenda il significato d’apostasia, di rinnegazione, di tradimento, e che essa trascini a delle conseguenze disastrose e pericolosamente disgreganti per la famiglia, all’interno della comunità dei pari della stessa età, della stessa condizione e stesso itinerario, e, più generalmente, all’interno di tutta la comunità di immigrati della stessa origine parentale, regionale e anche nazionale.

I giovani danno dimostrazioni eclatanti di questa determinazione.

Essi portano così anche la prova della loro maturità politica, del loro senso civico, tutte qualità che la definizione stretta dell’immigrazione impedisce loro di avere, ma che essi hanno, sicuramente, ad un grado molto più elevato di coloro i quali ne fanno loro divieto. [paragrafo successivo]

 

 


 

 

Abdelmalek SAYAD, L’immigration, ou, les paradoxes de l’altérité. Tome 2. Les enfants illégitimes, Raisons d’agir Eds., Paris, 2006.

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