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RedCat su UN

Con immenso ritardo ripubblico il mio report da Parigi per la manifestazione «La Journée Sans Immigrés» del 1 Marzo scorso, apparso su Umanità Nova.

Per completezza, aggiungo anche il report "long version", ricco di interviste, realizzato per ZiC.it.

E per archivio, mica per farmi pubblicità ;-P

Continued…

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Les Anarchistes se trouvent ici…[“Il Galeone” in omaggio]

Les Anarchistes“, a dispetto del nome, è un gruppo italiano, che canta in italiano.

Il loro nome è un’omaggio a Leo Ferrè, cantautore francese, anarchico e autore di una famosissima, omonima canzone (Les anarchistes); del quale riadattano in lingua italiana diversi pezzi.

Tra i migliori interpreti contemporanei della tradizione dei canti anarchici di due secoli fa (‘800) e dello scorso(‘900), sono forse gli unici a riuscire a “modernizzare” musicalmente l’insieme ricco e diffuso di opere che vanno sotto questa etichetta.

Tra gli esempi, si possono citare “Il Galeone”, una splendida marcia choral sul testo della poesia di Belgrado Pedrini, anarchico antifascista e poeta, di cui si consiglia una delle poche opere stampate, che funge insieme da (auto)biografia e raccolta di testi, lettere, canzoni e poesie: “Noi fummo i ribelli, noi fummo i predoni: schegge autobiografiche di uomini contro, di Belgrado Pedrini”, a cui si accompagna, come due pezzi / unico, “Versi liberi e ribelli”, entrambe per le Edizioni Anarchiche Baffardello [qui un assaggio della storia di Belgrado].

Mentre vado a scolare la pasta, voi potete godervi il primo album: “Figli di Origine Oscura”.

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Fermi tutti! Ci sono le elezioni!

Fermi tutti!Ci sono le Elezioni!

All’Aquila ci sono
ancora le macerie per strada, ancora persone senza una dimora stabile (nel
futuro e nel presente).

La ricostruzione si
sta rivelando più difficile (troppi "interessati"?) e più lunga
(leggesi, "appalti pubblici") di quanto i più pensassero.

Così, succede che i
cittadini, le persone decidano di auto-organizzarsi. 

Da alcuni mesi a
questa parte, diverse centinaia di cittadini del capoluogo abruzzese si
ritrovavano "ogni maledetta domenica" per inscenare una fantasiosa
quanto pratica modalità di protesta: armati di carriole, pale e secchi,
scendevano per le strade de L’Aquila a portare via le macerie rimaste dopo il
crollo. 

Niente di pericoloso,
questa è Partecipazione, si, proprio quella che viene di tanto in tanto evocata
come mancanza di tutti noi cittadini. 

Ma, evidentemente, è
mancata un’altra qualità, secondo la Legge, coloro che la scrivono e coloro che
la fanno rispettare: Tempismo e Buon Senso.

Insomma, il giorno
delle Elezioni, no!E’ Sacro!

Fatelo quando volete,
ma oggi (domenica, ndr)no!

Anche domenica
prossima, festività pasquale, se preferite. 

Gli agenti della
Squadra Politica sono quindi intervenuti per fermare questo intollerabile
surplus di democrazia: carta e penna, hanno sequestrato le carriole e gli
attrezzi (tra cui un "contenitore in ferro di colore blu, con legatura in
ferro sotto il contenitore", dal verbale delle FF.OO.: si lancia il
contest sull’Oggetto Misterioso, scriveteci in redazione con le vostre
proposte/idee/suggerimenti).

Non contenti, hanno
poi identificato la totalità dei presenti (alcune centinaia di persone) in
vista di una denuncia per manifestazione non autorizzata e chissà quali altri
fantastici premi.

"Vogliono
intimidirci.Ma noi non molliamo: ci auto-denunceremo tutti come "portatori
di carriole""
, la voce dei manifestanti registrata da Radio Onda
D’Urto.

Si potrebbe
aggiungere: "portatori di carriole in periodo elettorale".

Qual’era il Popolo
del Fare?!?

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I Carriolisti aquilani e il Circo Elettorale

Largo al Carrozzone
Elettorale!

"Largo!Lasciate
passare!"

"Nessuno deve
intralciare il passaggio del Grande Carrozzone Elettorale, il Re-Pagliaccio, la
Corte di Clown e Domatori di Conigli, il Malefico Barone Rosso e trapezzisti,
soubrettes e travestiti in genere (da Thor il Vichingo all’incredibile Hulk in
Verde, passando per Sampei-La Trota e Fiammetta Nera)"

"E soprattutto,
chiudete in casa i figli chiassosi e lerci dei pezzenti e degli sfortunati, non vogliamo vedere
nemmeno le braccia villose e le mani callose dei braccianti e dei muratori (più
o meno rumeni); quelli che una casa ancora non ce l’hanno, anche dopo mesi di
disgrazia e per colpe non proprie, portateli al mare (perchè Noi siamo sensibili
verso chi soffre), se proprio non vogliono partecipare /

al Grande Carrozzone
Elettorale!"

Ormai le Elezioni (di
qualsiasi tipo si tratti) rappresentano l’Eccezione alla regola Autocratica (di
qualunque colore si vesta), unico momento in cui i cittadini-sudditi vengono
chiamati a partecipare al Grande Gioco della Politica per tornare, una volta
chiuse le urne, nell’Angolo del Silenzio e del Sacrificio (questo, almeno, è
quello che avrebbero in mente i Capi del Circo).

Così, succede che in
periodo elettorale qualsiasi manifestazione sia vietata (e fa niente se viene
celebrato come il Grande Momento della Partecipazione Democratica) e che
qualsiasi manifestazione diventi Politica, soggetta a par-condicio (tutti hanno
diritto a riempire P.za S.Giovanni con Un Milione di Persone! – tutti…i
Protagonisti, il Pubblico fa parte di un altro gioco).

Questo almeno,
secondo i piani.

Poi, invece, ci sono
le persone, piccole e umili, che vivono piccole e umili esistenze a volte
dentro Drammi di dimensioni epocali.

All’Aquila oggi ci
sono ancora persone che aspettano il Futuro, quello che era stato loro promesso
qualche mese fa, alla vigilia di un G8 che si è rivelato un Teatrino di
faccendieri e favori, e in vista di altre elezioni.

"Gioite!Le
Elezioni, non finiscono mai!"

Ed era così che da
alcuni mesi qualche centinaio di cittadini aquilani si ritrovavano tutte le
domeniche nel Centro ancora rovineggiante della loro città, armati di carriole
e secchielli, e portavano via le macerie in segno di protesta contro le
speculazioni sulla ricostruzione.

Ma ieri, era la
Grande Domenica – No!Non vi siete sbagliati: Pasqua è la prossima! – in cui
andava in onda, in contemporanea alla sfida scudetto di Serie A, la Grande
"P" o, anche, "PPP": la vera "Politica Per il
Paese".

E così ai malcapitati
volontari ricostruttori non solo veniva negata la possibilità di manifestare la
loro "protesta del fare", ma venivano, molto ironicamente, spiccate
addirittura delle denuncie con tanto di sequestro degli attrezzi.

I fatti:

I circa duecento
manifestanti, già a conoscenza del Repubblicano Divieto di manifestazione
durante le Giornate Elettorali, decidevano di trovarsi quindi direttamente nel
centro dell’Aquila, usufruendo singolarmente del loro diritto a passeggiare per
le strade, non (ancora?) sotto sospensione d’emergenza.

Una volta entrati, si
alzavano le maniche e sfilavano alcune carriole nascoste nei giorni precedenti
nei tanti anfratti formatesi dal crollo dei palazzi.

La D.I.G.O.S., con
molta italica ironia, nevvero!, interveniva prontamenteper fermare questi
pericolosi…muratori!

3 le carriole
sottoposte a sequestro a cui vanno aggiunte un "contenitore in ferro di
colore blu, con legatura in ferro sotto il contenitore" (forse…un
secchio?) e "due pale con manico in legno".

Ma non contenti dello
scherzo, ed evidentemente ispirati dalla splendida giornata di sole che ha
riscaldato tutta la penisola nella giornata di domenica, facendo sprizzare
quell’ironia un po’ pesante per cui gli italiani sono apprezzati/odiati in
tutto il Mondo, decidevano pure di procedere ad identificazione di tutti i
manifestanti presenti.

Lasciando intendere
che la parte più bella dello scherzo sarebbe arrivata in seguito, sotto forma
di Atto Giudiziario (per i più profani, e meno inclini a questi italici
scherzi, trattasi di "denuncia").

E come biasimare i
tutori dell’ordine?

Dopotutto, era pur
sempre il Giorno del Grande Circo in città, e loro hanno partecipato a modo
loro come Buffoni.

I manifestanti hanno
diffuso la notizia di quanto accaduto annunciando che si auto-denunceranno
tutti come "portatori di carriole" e che non si lasceranno intimidire
ulteriormente.

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Minimal Agenda Reversed [Beta]

Con mesi di colpevole ritardo (mio), prendo finalmente la sbatta di pubblicare l’ultima delle "creazioni" del Forum di NoBlogs&Affini:

Et Voilà la Minima Agenda Reversed (TM) [BetaVersion] !!!

 

Minimal Agenda Release 2.000000000000001:

– a differenza della Minimal Agenda (v. 1.1) / [How to & Why]  , la M.A.R. 2.01 ordina gli appuntamenti in ordine crescente (cioè dal più vicino in ordine temporale al più lontano/prossimo);

si ringrazia lesion (TM) per il codice fornito, riguardante in particolare la funzione {section};

a causa/grazie alla suddetta funzione {section} è possibile l’inversione dell’ordine degli articoli: l‘effetto collaterale che si è manifestato in fase di testing è che non è più possibile decidere il numero di articoli visualizzati  – ovvero utilizzare la funzione di lifetype {foreach.smarty.articles.iteration < X} [etc etc]  – pertanto il rischio è che la lista di appuntamenti visualizzati continui all’infinito (cioè finchè inserite nuovi avvenimenti) riempiendo di fatto tutto lo spazio della barra laterale; d’altra parte è molto utile per visulizzare l’archivio completo delle iniziative, completo di date di inserimento (che l’archivio normale ce lo avete semplicemente creando la category "Calendario" e categorizzando corretamente i post, poi all’indirizzo http://VOSTRO_NOME_BLOG.noblogs.org/cateogory/VOSTRA_CATEGORIA_CALENDARIO verranno visualizzati tutti gli articoli di quella categoria, compresi di testo solitamente – VERYVERYLONG VERSION!).

E’ una versione in Beta, non fate affidamento su di essa se siete ubriachi; egualmente non fate affidamento sugli sviluppatori, non siamo per niente affidabili ;P (ma che dici!!!???Scrivete commentando qua sotto o sul Forum)

 

Speriamo che qualcuno possa darci una mano a risolvere questo problema imprescindibile per lo sviluppo rivoluzionario in Italia.

Sempre a mouse chiuso!

Redcat & il buon Zeppe

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Routes de France / Partenza: Paris, Bourgogne, Jussy

04/03/2010 – PARIGI

Partiamo come se dovessimo fare il giro di Francia in autostop, zaino da montagna per me e borsone in condivisione per i miei due compagni di viaggio (Peppe e Simona). Andare all’aereoporto per partire…in macchina!
Soliti problemi alla reception: carte bleu che non marcia, grandi attese e scrollate di spalle, poi la signorina balena una soluzione, smanetta un po’ con il suo terminale, mi richiede tutti i documenti e…fatto!Si va!
Il mezzo è una Twingo bianca, comoda e ristretta. Tom-tom. Lettore CD. Tutti i comforts (non ci facciamo mancare nulla)!…tranne il posacenere ;P
Lo zio Tom si rende utile facendoci uscire da Parigi, ma a me che guido sembra che ci stia portando da tutt’altra che verso la nostra emtà, Lyon.
Fuori dall’Ile de France inizia una regione di cui non ricordo il nome, subito prima di incontrare la Borgogna. Molta campagna. Vedere il verde e i marroni dei campi mi rilassa. La vacanza è cominciata.

BORGOGNA

E’ sempre campagna, ma è diversa. Il verde, pur non essendo un verde da quadro, magari manierista come l’affresco della Notre Dame di Lyon, è diverso: ha "carattere", un carattere genuino e curioso nei confronti degli estranei, ma "terra" – quindi può risultare anche un po’ duro – come i bourgognais.
Abbiamo deciso, felicemente, di prendere la Nationale (statale E6) e non l’autoroute. L’occhio ne ha di sicuro guadagnato. Le mie energie un po’ meno (alla fine della giornata avrò guidato x 4 ore, più di 30 kilometri in solitaria).
La prima sosta è in Bourgogne profonde, terra del "miglior vino di Francia", secondo il mio compare e i suoi amici bourgognesi.
Le insegne "Cave" ("cantina") ci ammalliano come sciacalli assessati il miraggio di un oasi nel deserto del Kalahari, e alla fine lasciamo la Nationale per inoltrarci nelle colline dense di vigneti.
Il primo paesello è morto, incrociamo solo un paio di macchine con a bordo sguardi stupiti di vedere essere umani sotto i 50; l’età media del paese è probabilmente intorno ai 60 anni.

Chiesa.

Hotel de ville (mairie).

Cimitero.

La "tradition française".
Un altro segno della sessuagenarietà del paese, sono le panchine sparse ovunque, a costo di restringere la strada a livelli impraticabili. Uscendo dal paese, di corsa, vediamo che le panchine continuano pure in piena campagna collinare, evidentemente tappe della passeggiata mattutina e serale.
Il secondo paese di chiama Jussy. Molto piccolo. Ma molto ricco, soprattutto di cave.
Ce ne sono almeno 3 "pubblicizzate" da cartelli che arrivano fino sulla Nationale. Ma l’impressione è che non ci sia casa che non contenga delle riserve di merlot o cabernet sauvignon ben stipate in ampie cantine fresche o in mansarde areate.
Le case hanno tutte al massimo 3 piani, un bel giardino curato, qualche orto qua e là a mangiare spazio al cemento.
Nella parte alta di Jussy, vicoli stretti delimitati da case basse in pietra, molto "rustichic".
Raggiungiamo la nostra cave: c’è persino un piccolo parcheggio.
Suoniamo.
Sono ormai le 15:30, non risponde nessuno. Sembra anche qui che la vita sia stata sospesa per il sonnellino pomeridiano.
Mentre i miei due compagni di viaggio cercano una toilette, decido di fare un giro. Seguendo il campanile arrivo alla chiesa, arrampicata su se stessa a fasi successive di costruzione. La piazzetta antistante è proporzionata al resto del paese, come buon custume di tutti i paesi di montagna: pochi spazi interni, bastano per le poche anime che popolano i borghi; contrapposti agli sterminati boschi e vigne che si stendono sull’ondulato profilo collinare.
Le spianate parigine mi sembrano un tale spreco, ora.
Poi, un evento mi turba e mi scuote: sento delle urla. Urla di gioco e corsa. Di bambini.
Una piccola scuola elementare, giusto all’angolo della via che sale dalla chiesa, cova una decina di ragazzini dai 4 agli 8 anni. E’ proprio vero che i bambini hanno un rapporto "magico" con la vita: la rappresentano, e sanno donarla anche alle cose inanimate come questo borgo silenzioso e vuoto.

Ripartiamo a mani vuote e gole secche, quindi decidiamo di fermarci al prossimo paese di una certa importanza (per giunta, non abbiamo ancora pranzato).
Anche qui, l’orario è infausto.
Il ristorante-bar-hotel che si affaccia sulla Nationale è aperto. Butto la testa in cucina, facendo salutare la mia presenza. "C’est trop tard pour dinner. La cuisine est fermée" – mi risponde una ragazza sulla trentina intenta ad asciugare le stoviglie. Sbuca anche un signore, probabilmente il padre o il factotum dell’hotel e sottolinea più o meno il concetto espresso (ma io non capisco quasi nulla del suo francese gutturale e mangiato).
La ragazza si sposta dietro il bancone del bar.
Ordino due caffé.
Il suo accento è se possibile ancora più "strisciato" del parigino: in borgogna riescono a mangiarsi le iniziali!
La "musica" è campagnola, un poco ruvida e poco attenta alle diverse sfumature fonetiche della lingua francese (o, almeno, io non riesco a notarle).
Ci serve i caffé – pessimi, come nella quasi totalità dei bar che ho incontrato in Francia – maniere spicce ma cortesi, mestiere della ristoratrice.
Alzo lo sguardo per ripetere il mantra gallico "merci" e mi accorgo che i suoi capelli sono biondi, castani, rossi e arancioni. Tutto insieme.
I suoi occhi incrociano su un punto più vicino alle persone su cui sono posati. "Vede prima".
Le domandiamo dove possiamo trovare una cave aperta a quest’ora, vista la precedente brutta esperienza. Il ristoratrice conosce il territorio: si avvicina alla cartina della zona appesa giusto in parte alla porta d’ingresso, immediatamente dopo la fine del bancone, e comincia ad indicarci una serie di posti. E’ stupendo accorgersi di capire il discorso senza aver compreso una parola sana.
Il consiglio finale è un piccolo paesino che a stento entra nella carta: bisogna giusto tornare indietro per un paio di kilometri ed è fatta.
Si chiama Jussy.
Ringraziamo calorosamente e ce ne andiamo un po’ imbarazzati un po’ scazzati, con la sorte e i suoi scherzi.
Sulla porta incrociamo due poliziotti in procinto di entrare nel bar per una pausa pomeridiana. Il collega rimasto nel parcheggio in macchina ci controlla mentre facciamo il pieno di nicotina all’aria aperta prima di ripartire.
Al loro ritorno rende partecipi anche i colleghi.
Aspettiamo che decidano di avere di meglio da fare, e ci rimettiamo in strada.
Qualche kilometro più avanti, Peppe scorge una cave aperta proprio sul ciglio della strada.
E’ molto più commerciale, tutte le bottiglie sistemate in grossi scaffali di legno, niente a che vedere con il fascino della cantina di campagna. Ma Lyon è ormai vicina e non vogliamo arrivare a mani vuote e bocche asciutte all’appuntamento con Marco che deve ospitarci per la notte.
Prendiamo due bottiglie (un Bourgogne e un Languedoc) e Peppe mi da il cambio alla guida per gli ultimi 150 kilometri…

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Routes de France / Marsiglia, primo giorno

"Marseille, elle est la meilleure ville du monde. N’y a pas d’autre come ça, au monde"
Massilia Sound System, 3968 CR 13

Golfo di Marseille - luce della sera

Marsiglia (Massilia, in Occitano) è davvero una città spettacolare.
C’è il porto che affaccia sul mar mediterraneo dopo aver percorso un fiordo per metà baciato dal sole e per metà all’ombra la maggior parte della giornata.
Ci sono le colline, svariate piccole alture che movimentano l’incedere delle auto e dei pedoni.
Giusto in parte al porto, nella metà ad hombra, dalla duna si staglia la Notre Dame de Marseille, una chiesa stupenda a strisce bianche e nere di marmo e roccia. Sullo stesso promontorio, il pharo, una villa con giardino enorme che occupa la punta della penisola e un’abbazia che sembra tanto un carcere.

Sull’altra sponda del porto, quella baciata dal sole e, per questo, luogo di passegiate di marsigliesi, turisti, semplicemente stranieri di passaggio più o meno lungo: "Salam Aleyqum" – diceva il bambino tenuto per mano dal nonno evidentemente musulmano praticante e fiero del nipote che apprendeva in fretta le basi della religione. "Aleykum Salam", risposi, mentre seduti su una panchina sorseggiavamo una bottiglia di Languedoc che valeva tutti i 4 euro lasciati ad una cave qualche centinaio di kilometri prima di arrivare a Lyon – ragazze ben vestite di tutti i colori passano mano per la mano e si parlano all’orecchio ad alta voce, suscitando gli sguardi dei giovani seduti sulle panchine, tra cui il nostro.

Le file di bar e ristoranti lasciano la punta di quest’altra penisoletta ad una fortezza costiera in mattoni d’argilla, massiccia e imponente nella sua rozzezza. Giusto sotto le sue mura, affacciate sul mare aperto, decine di persone prendono il sole a torso nudo (è il 5 Marzo e ci sono circa 7 gradi), bevono in compagnia degli amici, condividono con l’amante il primo sole primaverile.

Sul lato nascosto del "castello sul mare", ci sono lavori. Cemento, strada, su cui corre un ragazzino col suo motorino evidentemente appena comprato in via di un primo "rodaggio". Nell’angolo del cantiere, macchine appartate proteggono le coppie che non hanno saputo resistere al risveglio ormonale stagionale (sono le 4 di pomeriggio). Quasi a voler marchiare quel luogo in via di ricostruzione come luogo "dei piaceri", tre uomini giocano con macchine a benzina telecomandate, facendole schizzare sull’asfalto rattoppato della strada chiusa. Soffia un vento forte e freddo, che contrasta col timido calore del primo sole, a ricordarci, quasi volesse farlo apposta, che siamo tuttavia in Francia, terra "straniera". L’odore del mare risveglia nel mio compare il ricordo di una Sicilia fantastica. Ci godiamo "chistu sole e chistu mare" fino alla fine, fino all’ultima goccia di luce.

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Mio compleanno!

Visto che non vi fate mai sentire, potreste almeno farmi gli auguri!

RedCat

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Sayad – Un diritto civico: l’eguaglianza davanti alla giustizia

UN DIRITTO CIVICO: L’EGUAGLIANZA DAVANTI ALLA GIUSTIZIA

 

[paragrafo precedente]Un’altra rivendicazione civica è quella per un trattamento altro all’interno e da parte dell’apparato giudiziario. Il tribunale è un luogo nel quale imperversa la forma più insidiosa, perchè la più nascosta, di razzismo – la meno visibile, non soltanto quella di cui meno si parla e meno denunciata, ma anche la più difficilmente enunciabile e denunciabile. E’ là dove è più difficile sospettare la presenza del razzismo, quando è sempre là che questo esercita le sue devastazioni. Così, niente impedirà la madre o il padre di un ragazza assassinato, nè i suoi compagni di quartiere (compagni anch’essi assassinabili poichè condividono le stesse caratteristiche d’origine e di storia, le stesse condizioni sociali, lo stesso habitat) di vedere nel comportamento del giudice così come di tutta la corte, nel verdetto reso, spesso relativamente clemente per l’assassino, una segno di comlicità oggettiva con l’assassino che è loro compatriota, un segno di solidarietà organica e che non ha bisogno di riflessione per esistere. «Solidarietà di sangue!», si dice. Conosciamo l’espressione «giustizia di classe»; qui, bisognerebbe parlare di «giustizia di casta», che raddoppia l’altra.
    Tutto questo, e altre cose ancora, che noi chiamiamo «diritti civici». Si potrebbe continuare ad enumerare i luoghi in cui bisogna andare a braccare e stanare le forme di discriminazione, i terreni privilegiati in cui vanno ad insediarsi le diverse ineguaglianze dinnanzi all’ordine sociale e politico, davanti alle istituzioni che la società si è data per ancorare e perpetuare questo ordine. Discirminazioni e ineguaglianze che sono tanto delle negazioni di giustizia che delle violazioni dell’ordine pubblico.
    Il razzismo non è solo quello della violenza, quello dell’assassinio o, più ordinariamente, banalmente – banalità sconfortante – quello della vita quotidiana, il disprezzo che si legge negli sguardi e che si traduce in delle condotte diffidenti, sospettose, impaurite; è, anche, quello inscritto nelle istituzioni e nel loro funzionamento quando si tratta di questa categoria particolare di soggetti e di assoggettati che si chiama «immigrati» – che vi è inscritto perchè era già nelle categorie attraverso le quali si percepisce e si costituisce l’immigrazione. Lottare contro la prima forma di razzismo è, senza alcun dubbio, una buona cosa, ma questo richiede che si riduca, per lo meno, anche la seconda. E quest’ultima lotta viene persino prima dell’altra. In mancanza di ciò. la lotta contro il razzismo si limiterebbe ad un discorso puramente morale. Si potrebbe allora temere che, malgrado tutta la buona volontà che la possa animare, una simile impresa non susciti, per pura reazione, che una riattivazione del razzismo, il suo incoraggiamento.
    Che i problemi dell’immigrazione si pongano oggi e che richiamino ad una rottura radicale con la vecchia maniera di formularli e di trattarli, rappresenta una trasformazione delle idee e delle realtà sociali che fanno da testimoni ad una situzione nuova: cambiare il mondo politico presuppone la congiunzione tra un discorso critico (un discorso in atti, quando non può essere eleaborato sotto forma di teoria – è questo il senso di tutte le manifestazioni pubbliche) e una crisi oggettiva. La lotta per i «diritti civici» non conoscerà la riduzione nè alla lotta per la sola scheda elettorale – che non è che un mezzo – nè alla lotta contro il razzismo, essendo che lo sradicamento di questo male non può essere altro che il risultato di tutta una serie di altre conquiste. La lotta per i «diritti civici» non riguarda solamente gli esclusi, le vittime, i dominati dell’ordine sociale e dell’ordine politico, ma l’insieme di questo ordine, a cominciare dalla corrente chiamata abitualmente «forze domocratiche del paese». Ne va effettivamente della stabilità e della sopravvivenza dell’ordine sociale nel suo insieme e, in primo luogo, dell’ordine democratico. Il grande pericolo per la democrazia viene dal fatto che esistano degli individui costretti a vivere al di fuori del mondo comune. E’ anche per questa ragione che noi domandiamo che gli immigrati entrino nel mondo «comune», che è il mondo politico, e, qui, il mondo «nazionale», ma che ci entrino come eguali.

[fine Prima Parte]

 

SAYAD Abdelmalek, L’immigration, ou, les paradoxes de l’altérité. Tome 2: Les enfants illégitimes, Raisons D’Agir Ed., Paris, 2006.

 

Con questo paragrafo termina la prima parte dell’opera. Dopo una meritata pausa di riflessione, deciderò e comunicherò se e quali parti continuerò a tradurre.
La seconda parte consta di una lunga intervista ad un allieva di Sayad, di origini algerine, la quale racconta l’esperienza della sua famiglia, composta da i genitori, immigrati in Francia verso la metà degli ani ’60, e da 6 figli, 3 maschi e 3 femmine. Questa intervista, densa di spunti, consente di aprire una finestra sul mondo nascosto dell’immigrazione e su molti particolari fenomeni quali il rapporto tra i genitori e le diverse generazioni dei figli (i primi (e la prima) essendo nati in Algeria hanno vissuto il passaggio da una situazione all’altra, condividendo e "subendo" anche il "portato" culturale dei genitori, fatto di aspettative, valori morali e condotte di vita particolari obiettivamente diverse da quelle del mondo francese; le figlie (e il fratello) minori, nate/i in Francia, vivono questo rapporto in maniera del tutto differente, anche grazie all’"esperienza" acquisita attraverso le vicende dei maggiori. E sono loro anche a fornirci una sorta di "tipologia delle strategie" con le quali essi stessi affrontano, diversamente l’uno dall’altro, la situazione. Oltre ad innumerevoli altre cose, si conclude infine con l’analisi proposta da Sayad.
Nella terza, intitolata: "Il modo di generazione delle generazioni «immigrate»", il discorso di Sayad si fa teoria analitica, cercando di indagare i rapporti e i meccanismi di cui sono investiti e in cui giocano la loro vita le differenti generazioni.

Se qualcuno avesse urgenze/preferenze per una di queste parte (anche brevi estratti), me lo segnali: non prendetelo come un "incarico" che mi commissionate, peggio un "lavoro". Sarà piuttosto una ragione da aggiungere alle altre nella mia personale scelta di traduzione.

Posted in In Progress, Politica, Sayad - Tomo 2, Sociologia, Tempi Moderni, TeoriAE, Trans-linguismi.


Sayad – Un diritto civico: un trattamento scolastico uguale per tutti

UN DIRITTO CIVICO: UN TRATTAMENTO SCOLASTICO UGUALE PER TUTTI

[paragrafo precedente]  Nel novero dei «diritti civici», noi includiamo anche un cambiamento nel trattamento che le istituzioni – principalmente l’istituzione scolastica e l’istituzione giudiziaria – riservano alla popolazione immigrata e ai suoi figli.
    La scuola, obbligatoria per l’insieme della popolazione francese da più di un secolo e, per la popolazione straniera residente in Francia, da più di mezzo secolo, tende ad essere assimilata ad un di questi vantaggi in natura che si crede possano essere accordati o ritirati agli immigrati in funzione della congiuntura economica e politica, delle preferenze che si portano, in un dato contesto e ad un dato momento, a quella categoria di popolazione piuttosto che a quell’altra. Il caso di Montfermeil costituisce la prova flagrante, e molto recente, della libertà che ci si può dare qui e infrangere la legga di là; costituisce in se un sensibile segnale d’allarme che rivela la tendenza attuale ad optare per la discriminazione e a banalizzarla*1. L’obbligo scolastico che obbliga tutti i genitori a mandare a scuola i propri figli, obbliga anche le scuole a far loro posto. Se l’infrazione si commette sul terreno in cui l’obbligo scolastico viene fermamente enunciato e sanzionato, la scuola, non infrange forse la sua stessa legge? E che dire, allora, di quest’altra forma di scolarizzazione che non è stata resa obbligatoria, la scuola pre-elementare: classi che si dicono «materne», giardini d’infanzia, asili nido, soggiorni vacanza, etc? Ancora, questa scuola pre-elementare, poichè è posta sotto l’autorità delle municipalità (autorità mandatarie di ben altri mandati che l’immigrazione e secondo delle procedure  dalle quali gli immigrati sono esclusi), perchè è una scuola locale, una scuola del potere locale, si presenta come l’anello più fragile dell’istituzione scolastica in rapporto a ciò che ci interessa.
    Come, di fatto, separare questa prima scolarizzazione o pre-scolarizzazione facoltativa dalla scolarizzazione obbligatoria che andrà a prolungare, quando si ne conosce lo stretto legame, legame funzionale – e non solamente di continuità – che esiste tra l’una e l’altra, dovendo la prima iniziare e preparare vantaggiosamente alla seconda? E’ così che, sotto l’effetto ripetuto di violazioni disparate, la discriminazione finisce per costituirsi in sistema, cioè finisce per generalizzarsi, per fabbricarsi un sistema di giustificazioni, attendendo che ci si renda conto delle virtù: alleggerimento delle spese scolastiche, alleggerimento degli effettivi e della selezione degli stessi e, di conseguenza, alleggerimento del lavoro scolastico, etc. In breve, la discriminazione finisce per «naturalizzarsi» e per produrre quell’assuefazione che è il segno di tutte quelle «cose che van da sè» – e che vanno così bene da sè che si finisce per non vederle più. Un esempio di questo processo e delle perversioni alle quali conduce: compete forse alla scuola controllare la legalità del soggiorno delle famiglie e, facendo ciò, di subordinare l’iscrizione scolastica a questa "legalità"? In principio solo occasionali, queste pratiche, col passare degli anni, si generalizzano. Usando la sua autorità, l’istituzione scolastica in prima persona fa inchiesta sulla situazione familiare dei figli d’immigrati. Poco importano le ragioni, certamente varie e variegate, che la scuola si da per agire in questa maniera, il risultato è lo stesso: ed a valore di complicità oggettiva, cioè non concertata, tra la scuola e l’autorità di polizia, e contribuisce a rinforzare l’attitudine di sospetto generalizzato riguardo la presenza immigrata.
    Come qualificare altrimenti che di «razzismo» il comportamento di numerosi insegnanti che si accontentano di relegare in fondo alla classe i loro allievi figli d’immigrati su pretesto che essi non hanno il livello scolastico sufficiente, che mancano d’interesse per la cosa scolastica o che sono indisciplinati? Od ancora quei professori che orientano i figli d’immigrati nelle filiere più corte e più devalorizzate e devalorizzanti, persino all’intero degli istituti tecnici, su pretesto che questo tipo di formazione, più «economica» in fatto di tempi e di soldi, sono più immediatamente e più sicuramente redditizie? La relegazione in fondo alla classe ne prepara delle altre, infinitamente più cariche di conseguenze. L’ordine della scuola prepara all’ordine della città e prefigura ciò che questo sarà; ciò non può essere straniero alla rivendicazione e alla difesa dei diritti civici. E’ un’esigenza civica della stessa natura che tutte le altre fare il possibile perchè la scuola assicuri un miglior trattamento agli allievi che ha preso l’abitudine di considerare come merce in avanzo, i figli dell’immigrazione e, più in generale, i figli delle classi popolari, francesi o meno. Un trattamento che non maschera la propria carenza, così come non la giustifica nemmeno sotto la copertura della pseudo-specificità «culturale» di questa parte del proprio pubblico. Che si cerchi di pensare i fondamenti teorici ci ciò che viene chiamato «l’insegnamento delle lingue e delle culture d’origine»*2 o che ci si tenga alle forme pratiche, cioè alla maniera nella quale questa viene dispensata, si tratta di un verosimile offesa fatta alla scuola, la quale, in questo modo, smentisce, tutti insieme, lo spirito e la lettera di ciò che essa è, di quello che è il suo funzionamento, la sua finalità, e, quindi, la definizione ch’essa si è data e che impone della cultura; un’offesa alla cultura così insegnata, e, soprattutto, un’offesa a coloro che devono impararla.
L’inferno è decisamente lastricato di buone intenzioni![paragrafo successivo]

 

Note 

*1  Sayad allude in questo passaggio al rifiuto opposto nell’ottobre 1985 da parte del Sindaco del comune di Montfermeil alla domanda di iscrizione di figli d’immigrati «nuovi arrivati» nelle scuole materne e primarie. Nel gennaio 2006, questo anziano eletto fu decorato della Legion D’Onore per mano dell’allora Ministro dell’Interno, Nicholas Sarkozy [NdE].

*2  Si tratta di una misura messa in campo nel sistema scolastico francese a partire dalla metà degli anni ’70, destinata ai ragazzi venuti dall’estero: i corsi erano assicurati da insegnanti recrutati e remunerati dagli stessi Paesi d’origine che avevano firmato la convenzione (Portogallo nel 1973, l’Italia e la Tunisia nel 1974, Spagna e Marocco nel 1975, Yugoslavia nel 1977, Turchia nel 1978 e, infine, l’Algeria nel 1981) [NdE].

 

SAYAD Abdelmalek, L’immigration, ou, les paradoxes de l’altérité. Tome 2. Les enfants illégittimes, Raisons D’Agir Ed., Paris, 2006.

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