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Sayad sulla Seconda Generazione [Traduz]

Mentre leggevo questo passaggio oggi, mi è venuto in mente che l’Italia si prepara a vivere il fenomeno della Seconda Generazione, e sinceramente a livello di dibattito pubblico non vedo granchè.

Sayad è un grande, sarà per questo che le sue parole, scritte queste nel 1985, restano attuali anche oggi, anche qui, in Italia, pur senza il colonialismo, la concezione di Citoyennété, e l’aplomb francese.

Abdelmalek Sayad, L’immigration, ou, les paradoxes de l’altérité. Tome 2. Les enfants illégitimes, Raisons d’agir Edit., Paris, 2006.


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[…]Quale senso dare al modo di "essere presenti" realizzato dall’immigrazione, in primis l’ "essere presenti" dei genitori, a partire dal momento in cui la loro (im)migrazione diventa stabile, duratura, e, in seguito, l’ "essere presenti" dei loro ragazzi, essendo questi strettamente legati a quegli altri, dei quali sono il prodotto, nel doppio significato di prodotto genetico e prodotto sociale? Come appropriarsi pienamente di questa doppia presenza, quella dei genitori e la loro, mentri essi stessi (i giovani) sanno per esperienza che essa è vista, agli occhi di tutti, come profondamente e fondamentalmente marcata da una illegittimità innata? Anche quando questa presenza, dei secondi soprattutto, è messa sotto il segno dell’ "internità", ed è consacrata dall’attributo della nazionalità.

Non sono che bambini di immigrati; non sono che degli "immigrati" di seconda generazione o in altri termini la seconda generazione di immigrati. Tutto rinvia loro allo statuto originale che definisce l’immigrazione – sebbene non sia il loro – e, di seguito, alla precarietà e alla revocabilità di tale statuto. Là risiede senza dubbio l’estrema fragilità dei giovani, fragilità alimentata indefinitamente da tutto ciò che si dice loro e da tutto ciò che si dice di loro. E che cosa si fa loro capire? Da una parte, tranne qualche eccezione, c’è nel migliore dei casi il linguaggio della condiscendenza, il linguaggio del patrernalismo. Dall’altra, c’è il linguaggio della denuncia e della stigmatizzazione, più insistente, più sicuro di sè stesso e del proprio buon diritto, crede lui, e più violentoche mai, violento fino ad essere assassino.

Il primo linguaggio potrà avere come solo effetto quello di contribuire a confermare loro il vivo sospetto e la diffidenza che provano nei confronti di tutto ciò che tocca la politica e di  tutto ciò che proviene da uomini politici.

Il secondo linguaggio spinge a suscitare una replica esclusivamente violenta. Alla violenza, non resta come risposta che, al limite, la violenza. Violenza e contro-violenza si alimentano mutualmente in un ciclo infernale. Ciclo tristemente noto. Il meccanismo è stato descritto, analizzato e smontato diverse volte.

Quando non resta più che la violenza per esistere politicamente; quando non esiste più partecipazione possibile all’ordine pubblico, cioè partecipazione attiva al conflitto regolato che sta a fondamento stesso dell’ordine politico;quando non resta altro che la partecipazione violenta per mezzo della violenza, perchè privarsene? Sta anche là, per forza, l’ultima risorsa che si possa immaginare.

Quando non si può esistere politicamente che attraverso l’infrazione dell’ordine pubblico, cioè politico, quando non si può esistere legalmente davanti alla legge che alla condizione di infrangerla questa legge, più nulla si opporrà all’ "infrangersi" l’un l’altro.

Paradossalmente, è lo stesso tribunale, attraverso la sua procedura di citazione a giudizio, attraverso il verdetto che pronuncia, che fa esistere politicamente quando non si ha alcuna esistenza e nessun diritto ad un esistenza pubblica, cioè civile. E’ sconvolgente che l’ordine pubblico, anche quando è fondato – o, proprio perchè fondato – sulla discriminazione tra nazionali e non-nazionali, si accontenti di una minaccia così grande per il suo equilibrio e la sua perpetuazione; o, peggio, che si persuada di mantenere la propria sicurezza con tale esclusione.

Si misurano i rischi che si sono nell’escludere continaia di migliaia di uomini e donne che hanno in Francia, quindi sul territorio di sovranità francese, e all’interno della società francese, quindi della vita civile e politica francese, la loro residenza, il loro lavoro, la geografia dei loro spostamenti, l’universo di tutte le loro attività,tutto il loro presente e anche il loro avvenire? O, cosa che ritorna allo stesso punto, si sono realizzate pienamente tutte le conseguenze che comporta il fatto per un paese democratico (essendo la democrazia, come l’ha definita qualcuno – Tocqueville – la "passione dell’eguaglianza") di sottomettere l’accesso alla cittadinanza, quindi alla vita civile, per una buona parte della sua popolazione reale (sebbene non contata tra la popolazione legale), alla condizione di naturalizzazione, cioè al requisito della nazionalità?[continua…].

 

Posted in In Progress, Politica, Sayad - Tomo 2, Sociologia, Tempi Moderni, TeoriAE, Trans-linguismi.