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Ritorno sulla rivolta di Novembre (2005)

Finalmente ho trovato il lampo per scriverne, sfogliando di nuovo alcuni libri, in particolare La discriminazione negativa. Cittadini o indigeni? di Robert Castel.

Il punto era questo.

Secondo la gran parte dei sociologi, compreso Castel, la rivolta delle banlieue di Novembre è sostanzialmente una rivolta di "désesperés" – disperati.

Riprendendo una lettura cara al marxismo ma anche alla social-democrazia classica, in questo libro come esistano tutta una serie di fattori che facciano in modo di portare questi giovani in una posizione di costante ambiguità rispetto al loro stuts sociale, politico e soprattutto alle aspettive future.

Razzismo, "échec scolaire", discriminazione "à l’embauche" (all’impiego), carenza strutturale di capitale sociale – con cui si misura anche il sostanziale fallimento della politica di "mixité" affrontata negli ultimi 30 anni con la nascita della Politique de la ville e in seguito perfino dell’omonimo Ministero (Ministère de la Ville et du Patrimoine).

La questione è che insieme alla "disperazione" (più che legittima, a sto punto), tra i banlieuesards sarebbe assente qualsiasi tipo di rivendicazione, pubblica o politica: Castel è molto chiaro (e, come vedremo, per questo si sbaglia molto grandemente), i banlieuesards non hanno voce!

Questa idea è praticamente passata dappertutto: sui media, all’estero, in particolare qui in Italia ha contagiato praticamente tutti, compresi gli ambiti di movimento – i collettivi d’ici hanno avuto buon gioco da un lato a mitizzare le auto bruciate e gli scontri notturni con la polizia, e dall’altro a rivendicare una necessità di organizzazione del conflitto, proprio insistendo sulla a-politicità o pre-politicità degli eventi francesi.

Invece, come si potrebbe facilmente dimostrare se solo, a questo punto, si avesse la voglia e l’onestà di stare a sentire e a leggere, i banlieuesards nel 2005 sono stati tutt’altro che silenti: pur non avendo portavoce riconosciuti e rappresentativi, hanno rilasciato decine e decine di dichiarazioni pubbliche (l’altro ieri ho rivisto L’Odio: la scena in cui arrivano i giornalisti per quanto possa dare conto del carattere dei personaggi – soprattutto di Vinz! – evidentemente non rispecchia la realtà dei fatti, almeno non quelli recenti), chiedendo a chiare lettere:

– le dimissioni del Ministro dell’Interno (all’epoca, Sarkozy)

– Giustizia per Bouna e Zyed (i due ragazzi morti a seguito dell’inseguimento di due poliziotti, per "normale controllo". Poliziotti che verranno effetivamente messi sotto processo, chiuso poi tempo avanti con un’assoluzione che ha avuto il sapore dell’insabbiamento, visto che sono emersi seri dubbi sul modo con cui sono state condotte le indagini – affidate allo stesso corpo degli indagati; nel frattempo centinaia di giovani venivano processati e condannati a pene lievi o si "bruciavano" la condizionale, essendo per la maggior parte ragazzi tra i 14 e 17 anni*).

Io, stesso ricordo di aver visto un telegiornale al tempo in cui in ogni scena, in ogni immagine, si poteva vedere, in lontananza o in primo piano, una qualche scritta contro Sarkozy (e non altro!) richiedendone le dimissioni o semplicemente insultandolo.

Ho avuto modo di ascoltare dal vivo un professore, tale Lapeyronnie, durante la presentazione del suo libro Ghetto Urbain (prospettiva Wacquantiana, Paris 5 – Sorbone) che ripeteva sostanzialmente le stesse cose: lui aveva condotto, tra le altre, una ricerca sistematica sulla stampa francese del tempo, e si stupiva ancora raccontando delle pagine di giornale in cui, affiancato all’articolo di cronaca in cui venivano riportate diverse parole dei protagonisti, le colonne editoriali erano esclusiva di vari sociologi e "esperti", tutti a dire che si trattava di una rivolta della disperazione e che i ragazzi non sapevano bene neanche loro cosa volevano fare.

Ora, il livello di politicizzazione dei banlieuesards è tutto da indagare, tenendo peraltro conto dei difficili rapporti che intrattengono, ad esempio, con la Gauche e soprattutto con il movimento, in particolare universitario: nel Marzo 2006 – subito dopo, quindi -, nel corso della famosa contestazione anti-tagli, i banlieuesards nei cortei fecevano le mosche bianche, arrivando ad attaccare gli stessi studenti "con cui stavano manifestando" (tirando sotto anche vari solidali esteri, intervenuti per l’occasione ;P ).

Cosa che hanno ripetuto, ad esempio, alla Techno Parade di Parigi di fine Settembre, attaccando, senza apparente ragione, sistematicamente *tutti* gli spezzoni della parata, andandosene in gruppi di 20/30 unità alla volta del prossimo carro; tutto questo finchè la polizia, a Place de la Bastille – fine del corteo – non ha deciso non si sa bene per quale motivo tattico, di caricare la folla che riempiva la piazza, beata, allegra e danzante fino in cima all’obelisco che ricorda l’inizio della Rivoluzione. Trovato un impegno evidentemente più importante, i banlieuesards hanno lasciato perdere i bobos festanti e si sono occupati, a modo loro, di tentare di ricacciare la Polizia da dove era venuta (operazione riuscita a metà, per la cronaca).

Un’altro fenomeno sta imponendo massima attenzione: la costante e forte presa dell’Islam tra i giovani ragazzi di periferia, tutta da scoprire e da valutare, tenendo conto delle possibili "mescolanze" con la "cultura di cité".

Anche quest’ultimo fatto si può leggere alla luce di un processo di politicizzazione e, chissà, anche di organizzazione.

* Cfr, LAGRANGE, OBERTI, La rivolta delle periferie, 2006.

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