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Il fronte comune dei casseurs

Analisi della dinamica del movimento francese proposta da un “elettrone libero”. In coda un po’ di indicazioni “di spirito” (sono battute, ovviamente. Nel caso che non vi facciano ridere, sappiatelo).

da Juralibertiare

E’ bene precisare in forma di mini-preambolo: la forma non fa la sostanza. Non è pertanto questione di idealizzare delle pratiche in quanto tali, ma di collocarle in un contesto ben preciso.

La violenza non è mai stata una cosa da romanticizzare, o idealizzare. E’ solamente necessaria a un qualsiasi atto di rivolta, a qualsiasi velleità rivoluzionaria. E senza essere, per questo, attuata attraverso delle sporche pratiche autoritarie.

Si nota una differenza ben netta di questo movimento sociale rapportato ai precedenti nel recente passato. L’ingresso dei liceali (studenti medi superiori) non è avvenuto in maniera tranquilla, è questo il minimo che possiamo dire. La radicalizzazione non è attuata da una minoranza verso la fine del movimento, ma si è tradotta immediatamente in atti e in maniera diffusa. Leggere le notizie di uno degli ultimi giorni ci fornisce un indicatore preciso e non equivoco: ci si affronta con la polizia, si rompe, si brucia, si saccheggia, etc… sia nelle grandi città/metropoli che nei piccoli centri urbani di provincia. Ecco il contagio, la macchina è lanciata.

Ed è là che una seconda specificità entra in gioco: la figura del giovane di banlieue del novembre 2005 che durante il movimento liceale del 2005 o del movimento anti-CPE del 2006 veniva alle manifestazione con obiettivi ben diversi da quelli dei manifestanti (e qualche “antagonismo” si faceva sentire sul campo), si ritrovano questa volta dalla stessa parte della barricata. Una congiunzione c’è stata, alla fine. Non è certo l’unità di classe, ma un bell’inizio di associazione. Allora chi tra l’uovo e la gallina ha provocato tutto questo? Non è davvero molto interessante da sapere. Quello che è certo è che due fenomeni si sono auto-alimentati: i liceali bloccano adottando delle strategie ( o, almeno, reazioni) più offensive, i giovani delle periferie, non per forza regolarmente scolarizzati, almeno per una parte di loro, (non è, in ogni caso, interessante sfumare o sviluppare questo punto, non è per niente la base dell’analisi), raggiungono i blocchi e/o i dintorni per spalleggiare/approfittare degli affrontamenti e apportare così la loro pietra. E funziona.

Ci si trova quindi con una serie di atti violenti i quali nemmeno i media riescono più (non tutti, almeno) ad imputare unicamente ai “casseurs infiltrati”. E portano i prof del liceo a riconoscere con compassione che i “casseurs” sono anche i loro allievi. Merda! La figura del “barbaro” si decompone. Ci si ritrovano con testimonianze che non lasciano dubbi, anzi ancora più esplicite sul punto: la riforma delle pensioni, certo, nessuno la vuole, ma non frega poi molto, anche. E’ anche e soprattutto un pretesto per urlare tutto ciò che si ha nella pancia e che si ritiene, per la maggior parte, legato al quotidiano. E, come dicono alcuni liceali, questo segue il movimento. Mi metto a spaccare e a tirare le pietre ai poliziotti perchè anche gli altri lo fanno. E non c’è dubbio che questo faccia bene. Poichè in generale, “normalmente”, gli stessi si comportano in maniera molto più docile verso il sistema (scolastico e politico-sociale, più in generale). Si vengono a bruciare alla fine alcune delle proprie catene.

Questo scaricarsi in forma di sfogo non è certamente gratùito né senza senso. Si situa in continuità con la rivolta del novembre 2005, ad un’altra scala (attualmente). Facendo soltanto qualche ricentramento geografico. Gli stessi, con i loro nuovi compagni di strada, che nel 2005 si accontentavano di appiccare il fuoco ai loro quartieri, se ne vanno oggi, per esempio, a saccheggiare i magazzini di un commerciante a Lione, o ancora tengono la strada nelle vicinanze di un liceo a Nanterre (Parigi). Due esempi tra i più recenti, ma che non sono certo casi isolati. Se ne potrebbero citare tanti altri.

La differenza rimarcabile è che, una volta ancora, non è più questione di violenza reattiva scatenata per esempio da una “bavure” poliziesca, come poteva essere il caso del novembre 2005 o in Grecia (2008). Si è colta qui l’opportunità di una situazione. E anche se si potrebbe dire lo stesso per le rivolte reattive (la famosa storia del pretesto), troviamo qui una piccola e bella specificità. Mentre le violenze reattive hanno un po’ più di legittimità, o di ragioni evidenti, per cercare di affrontare la causa diretta: la figura del poliziotto. Qui, il poliziotto non è tanto la causa della riforma delle pensioni. E anche se si mostra offensivo/repressivo nei confronti del movimento, non è questo, diversamente a quello che vogliono far credere i gentili democratici della sinistra (le “provocazioni poliziesche”), essenzialmente che fa si che si voglia attaccarlo, lui e i suoi colleghi. C’è in eguale misura della vendetta personale da parte di quelli che conoscono le umiliazioni quotidiane e il voler mettere il poliziotto nella sua posizione reale: quella della difesa del capitale, dello Stato, colui che tiene la briglia tutti i giorni, colui che permetterebbe di metterci in gabbia e bruciare le rivolte di domani. E si tratta quindi di un buon senso totale quando la reazione prima nel vederlo non è più di mandargli i bacini o fare sit-in davanti a lui. Ma di andarci apertamente. Più ce ne saranno a terra, meglio sarà.

Ma non mettiamo semplicemente e solamente i poliziotti al centro della cosa (i servizi d’ordine dei sindacati dovrebbero avere la stessa dose nel quotidiano…). Il braccio armato del capitale deve prendere di più, ma non si ferma certamente lì. Ciò che si ritiene è che deve scoppiare, saccheggiare, bruciare. Tutto ciò che umilia nel quotidiano in termini di questioni materiali, tutte le frustrazioni e le vie senza uscita promesse da questa società alla maggior parte delle persone, tutto ciò deve prendere dei colpi, deve essere scaraventato via (sempre che si abbia uno spirito immediatamente pragmatico e a riempirsi le tasche, anche).

Nello stato attuale delle cose, non serve a niente dirsi che tutto ciò possa servire effettivamente o non a qualcosa. Una vetrina rotta o un’auto bruciata non hanno mai cambiato e non cambieranno mai il mondo in quanto tale, questo è sicuro. E’ solo che questi ultimi giorni danno piuttosto un’indicazione per domani, che sia dentro questo movimento o in un altro. Sempre più persone non hanno niente da perdere e più da guadagnare nel vedere questo mondo morire. E quando la maggior parte delle persone per strada si metterà a compiere tutta una serie di atti di non-ritorno possibile. Quando non ci saranno 10 ma 1000 vetrine rotte in contemporanea e senza concertazione. Tutto comincerà.

A quando il fuoco alle raffinerie?

Un elettrone libero e rivoltato che spera nella corrente ad altissima tensione per non dover restare al buio…troppo a lungo

P.S.: appello ai compagni democrats teorici del complotto: compagni, per non avere più dubbi se siano o no dei poliziotti infiltrati e provocatori che spaccano le vetrine e commettono i diversi atti di violenza, in particolare durante i cortei neri parigini, procurati tu la prossima volta una barra di ferro e spaccane una per primo. E’ la sola terapia di choc che ti resta a disposizione. Oppure hai ancora la possibilità di unirti ai ranghi del Servizio d’Ordine e ancora quelli delle milizie staliniane in formazione. Ma attenzione, tu ne prenderai davvero tante, perchè anche se si sa che i SO non hanno sbirri infiltrati nelle loro fila (ah, merda, si! ci sono le branchie sindacali della polizia e dei secondini in un buon numero di sindacati), si sa anche che questi ultimi hanno ben infiltrato le loro teste. Saranno quindi trattati come tali.

Posted in Materiali, Politica, Sociologia, Tempi Moderni, Trans-linguismi.

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