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La Rage et la Révolte

Comparso per la prima volta già nella primavera del 2006 sotto il nome di C’est d’la racaille?Eh bien, j’en suis, questo scritto si prefigge di dare una lettura “a caldo” della ormai ben nota “Rivolta delle banlieues”.
Lettura lontana da qualsiasi remora sociologica, accademica e/o speculativa, secondo il mio modesto parere riesce, a colpi di buon senso e andando a “rovistare nel cestino delle (tante) informazioni”, a fornire una lettura tutta politica degli eventi che “hanno sconvolto la Francia”.
Se non ci si capisce sull’analisi del contesto poi è difficile trarre dagli eventi delle indicazioni per il cambiamento.
In primo luogo questo libro è, quindi, una messa sotto accusa dell’urbanistica (e dell’urbanesimo) popolare e non che negli ultimi 20 (ma anche 50 anni) ha partecipato, come uno degli strumenti principali, alla governance della società.
Ovvero, ha diviso i poveri, prima dai ricchi, e poi tra loro stessi, intaccando e cercando di distruggere le forme potenti della socialità popolare.
In secondo luogo, e immediatamente di conseguenza, si corto-circuita tutta la retorica del binomio integrazione/esclusione, che in ambito politico è stata la guida dei modelli repressivi neo-autoritari ispirati alla Tolleranza Zero. Ma non solo.
Qui il j’accuse è più ampio, ed investe la (presunta) forma sociale residua delle nostre società. In fondo pare quasi banale, una volta che ci si arriva: a quale società dovrebbero “integrarsi” i “figli dei poveri” (banlieuesards)?Cosa ne è della società, anche sociologicamente intesa (principalmente Weber) come una forma di associazione allargata, nell’epoca dell’individualismo narcisista ed egoista?
Chi sono coloro che si “escludono dal mondo sociale”: i giovani “issus de l’immigration”, con il loro occupare gli spazi pubblici, con il loro associarsi in bande giovanili, con le loro mode e le loro invenzioni linguistiche e culturali (nella migliore tradizione delle classe popolari)?Oppure i ricchi, allontanatisi prima dal rumore delle grandi metropoli dove continuano a lavorare, ripetendo il tragitto casa-lavoro ogni giorno, ogni giorno tornando alle loro villette di periferia in cui trovano ad accoglierli la televisione, internet e, quando fortunati, il misero tepore della famiglia ristretta?
Cosa sono i “ghetti” se non le zone residenziali ad alta rendita, in cui ricchi e borghesi si rinchiudono, rifiutandosi di venire a contatto con il mondo reale, quello fatto da persone?

Pur a volte con argomenti molto “terra-terra” e con una lettura semplificata delle divisioni sociali, Dell’Umbria tocca il punto profondo delle fratture sociali e della loro relazione con un mondo reale che è sempre meno “social” (nonostante il web e le pressoché infinite possibilità di fruizione culturale, artistica e intellettuale) e sempre più “individuo”.
E, giustamente, l’Autore non spreca neanche una riga nel confutare la sociologia che tenta di spiegare le “sconfitte” dei presunti “emarginati” nel loro tentativo (?) di “integrarsi” ad una società che non li vuole, non sa che farsene (e men che meno in questo periodo di crisi=aumento della competizione tra poveri) e sostanzialmente se ne frega, avendoli relegati in spazi di lontananza fisica (ban-lieu) costruiti appositamente perchè sia “impossibire abitare. In banlieue si può solo alloggiare. Non abitare”(cit. dal libro).E questi giovani che cercano invece di “abitare lo spazio”, sono percepiti come marziani, sotto-uomini e nuovi schiavi (“la rivolta della disperazione…” – R.Castel, 2006).
La sola disperazione che si è rivelata in questi anni è quella degli intellettuali che hanno cercato di spiegare le ragioni di una rivolta senza mediazioni, senza rivendicazioni, senza parole (ma qui molti hanno mentito: la rivolta e i loro giovani protagonisti hanno parlato, hanno parlato eccome!) e soprattutto senza senso (per loro).
Perchè il senso, secondo Dall’Umbria, è dato dal suo essere quasi immanente, dal suo carattere esistenziale (e, quindi, portando con se tutte le brutture di una tale esistenza, dalla violenza di genere, alla rottura generazionale, al rabbia diretta contro tutti coloro che sono aldifuori della “banda” – anche i loro vicini. Su questo punto Dall’Umbria è molto chiaro: non è questione né di assolvere né di portare a modello, è solo questione di capire e magari porsi le dovute domande anche in merito a quello che noi stiamo facendo in altri campi).
La rivolta di Novembre mette in questione anche le forme più consolidate della politica, anche quella più radicale, in un certo senso ricordando che il cambiamento, la sovversione hanno bisogno della spinta davvero vitale e vissuta, e non bastano le teorie e le analisi.
E’ una questione di qualità, avrebbe detto qualcuno.
La rabbia non si impara.

Posted in Materiali, Politica, Sociologia, Tempi Moderni.

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2 Responses

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  1. redcat says

    Beh, che dire…grazie!
    Anche se, appunto, arrivo parecchio in ritardo, sebbene siano almeno 3 anni che mi interesso a quegli avvenimenti (c’ho fatto la tesi di triennale).

    E, manco a farlo apposta, noto grazie al tuo link che giusto un anno fa qualcun’altr* è arrivata prima di me, anche se in italiano.

    Cmq si, “Il rogo delle vanità” è la traduzione italiana delle edizioni Fenix (l’unica versione italiana disponibile) nonchè il titolo (tradotto, obv) del primo capitolo dell’ed. francese.

    L’edizione che ho io, quella del libro recensito, non è la prima. Non è, insomma, il saggio che l’autore fece girare in internet e in cartaceo autostampato già dal primo 2006.
    Contiene alcune parti, in particolare la prefazione e la postfazione, che in questo caso sono molto utili (è nella postfazione, credo, che l’autore sottolinea la sua volontà di non mitizzare le gesta dei banlieuesards, in risposta ad un papiello spagnolo uscito sempre nel 2006 e che tentava invece di farne un po’ il paradigma di come si fanno le rivolte).

    Quindi tutto sommato, ho aggiunto anche qualcosa 🙂

    Bon, benvenut* a bordo!

  2. pinke says

    molto bella questa tua recensione 🙂

    non ho il libro davanti e non so se il titolo originale e’ quello, pero’ credo sia lo stesso libro che e’ stato tradotto di recente dai tipi delle autoproduzioni fenix..
    http://robo.noblogs.org/post/2009/10/21/il-rogo-della-vanita/

    ho scoperto solo ora il tuo blog.. credo che ne diventero’ un’accanita lettrice!