Il 14 maggio’09 a Lettere (Bologna) si è parlato di crisi, economia e Rete
Questo è un report che ho scritto per Zic.it (ci sono anche degli audio inside the link)del seminario Not[Net]Working
A Lettere si entra nel pieno dell’attualità: con Raffaele Sciortino,
docente all’Università di Milano e redattore di InfoAut, si parla
quest’oggi di crisi, di rapporti economici e geo-politica,
approfondendo ancora la suggestiva analogia dello scorso incontro: la
Rete è la nuova finanza?Verso una nuova "Web’ Bubble"?
redcat
Si comincia come di consueto con la "cassetta degli attrezzi".
In un intervento che ha il merito della sintesi, Raffaele di InfoFreeFlow
(da ora IFF) ci spiega alcuni cambiamenti avvenuti nel sistema
capitalistico a partire dalla crisi economica della seconda metà degli
anni ’70.
Innanzitutto, quella crisi nacque da una sostanziale
saturazione dei mercati ormai divenuti di massa a seguito del boom
economico che, con differenze di tempi da Paese a Paese, iniziato negli
anni ’60.
In secondo luogo, bisognava fare i conti con una
sostanziale rigidità dei salari, data da un lato dal "compremesso
fordista" (più salario, più consumo) e dall’altro, in particolare in
Italia con il "decennio rosso", dalla forza dei movimenti dei
lavoratori, che consentiva di adeguare il salario all’aumento
dell’inflazione provocato dall’espansione dei consumi.
Con la crisi, partono una serie di processi, dei quali se ne
accenneranno solo alcuni, che portarono molti anni dopo molti studiosi
a parlare di "cambio del paradigma economico" (post-industriale, iper-,
neo-, e via dicendo).
Per primo, si evidenzia la nuova politica di
finanziamento del debito statale attraverso fondi pensione e
investimento, ovvero attraverso l’utilizzo dei risparmi dei lavoratori
della classe media per finanziare appunto il debito pubblico.
Le
conseguenze sono essenzialmente la rottura del fronte sindacale
operai-classe media, poichè questi vedono dinanzi a se il sogno della
stabilità e della ricchezza nel mito del prestito e del credito;
dall’altra parte, questa manovra permette di evitare la tassazione dei
ceti più elevati.
Il secondo processo che qui si vuole affrontare è
quello del progressivo ingresso della telematica prima e
dell’Information Technology poi all’interno dei meccanismi di gestioni
proprio dei prodotti finanziari.
Questo provoca una vera e propria
rivoluzione nel modo in cui i clienti si approcciano ai prodotti
finanziari: l’intermediario (broker o promoter) ha la possibilità ora
di mostrare loro i tassi, gli indici di borsa, i grafici delle
prestazioni e tutta una serie di altre informazioni che molto spesso il
cliente può raggiungere da solo tramite il sistema delle
telecomunicazioni (Tv, telefono, media classici, internet) e può quindi
cominciare a sviluppare quella capacità di "imparare facendo" (learning
by doing) che diventerà un "must" anche all’interno della sfera
"produttiva".
A questo si aggiunge la progressiva liberalizzazione
delle transazioni finanziarie e il regno del tasso variabile a
configurare una situazione dove "tutto può cambiare da un giorno
all’altro", contro le politiche dei monopoli istituzionali.
Terzo:
comincia ad essere attuata una forte politica deflazionistica, tramite
inizialmente la riduzione della moneta circolante sui mercati; in
seguito la regolazione, secondo il dogma monetarista, verrà affidata
alla sola gestione dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali
statali.
Questo processo ha delle conseguenze immediate che si
combinano molto spesso con gli effetti delle politiche di debito
(finanziamento del debito, ma anche spinta all’indebitamento per il
consumo): aumenta da un lato il potere d’acquisto del consumatore che,
combinato alla spinta all’indebitamento, allarga il mercato dei beni e
dei servizi; frantuma il mercato del lavoro e in particolare porta a
quella separazione del fronte di lotta operai-"colletti bianchi" che
aveva retto la contrattazione sindacale fino al momento della crisi;
rappresenta un ulteriore incentivo ai tassi variabili, contribuendo
alla volatilità dei capitali e quindi a porre le basi al sistema
odierno dei profitti basati sulla circolazione; a livello
internazionale, porta i flussi di capitali a dirigersi verso i Paesi
ricchi (notoriamente gli USA, che oltre ad essere i primi a giocare sul
dollaro, sono anche la potenza guida di tutto il sistema capitalistico
novecentesco: basti pensare che fino agli anni ’70, il dollaro era il
perno dei cambi monetari di tutti i Paesi del mondo).
Infine,
entrando nella sfera del lavoro e dei rapporti di produzione, si
assiste alla progressiva frantumazione e dislocazione della forza
lavoro e del lavoro stesso: si individualizzano i contratti, si
"flessibilizzano" i tempi ma anche le mansioni, comincia
l’esternalizzazione (downsizing) che culminerà con la delocalizzazione
produttiva dei giorni nostri.
Una nuova figura di lavoaratore inizia
ad emergere: è il "knowledge worker" (lavoaratore della conoscenza): è
possibile definirlo come "il lavoratore che durante o al fine di
eseguire il suo lavoro, utilizza capacità cognitive, relazionali,
creative" (precaria.org).
Qui vorremmo soffermarci su due tipologie
particolari: le nuove figure di gestione di flussi finanziari, come i
broker o i promoter, per i quali la gestione del rischio viene
incentivata dallo stimolo a produrre ricchezza tramite le loro capacità
relazionali e cognitive, alle loro intuizioni (perchè l’economia è una
scienza!); quello che Carlo Formenti, relatore al prossimo incontro del
seminario su questo tema, ha chiamato i "cybersoviet": comitati
scientifici, ricercatori, studiosi ed esperti in genere che hanno di
fatto guidato lo sviluppo tecnologico-scientifico negli ultimi anni.
Queste
due figure hanno due caratteristiche in comune: promuovono l’autonomia
del fruitore/cliente e misurano il consenso sulla base della
funzionalità. Funziona dunque è giusto, è bello, è vero.
Il modello
di leadership è del tutto peculiare: si tratta di una leadership
reputazionale, basata sui "meriti" e sulle abilità dei singoli
partecipanti al gioco, ma che ovviamente non esclude nè la gerarchia nè
il comando.
Arriviamo così a delineare alcune linee di massima di quella è stata
chiamata l’ "economia della conoscenza": in primis, i costi di
produzione e di riproduzione (copia, per banalizzare) dei prodotti "a
base di conoscenza" tendono costantemente allo zero, o comunque sono
molto bassi (e si sviluppano moltissime strategie per contenere ad
esempio i costi informazionali: le "comunità" di sviluppo o di supporto
dell’Open Source svolgono anche questo "lavoro", con il vantaggio per
l’azienda di essere completamente gratuito); inoltre, il prodotto per
eccellenza dell’economia della conoscenza, le informazioni, sono si
potrebbe dire quasi "ontologicamente" (per natura intrinseca) dei beni
non rivali e non esclusivi (cioè, un informazione non "fa concorrenza"
ad un’altra, entrambe possono tranquillamente coesistere senza
danneggiarsi a vicenda, ma anzi, completandosi e rimandandosi generano
circuiti virtuosi; la seconda espressione significa che la scelta di
"consumare" una determinata informazione non preclude, mai, il
"consumo" di un’altro bene, di un’altra informazione).
I correlati sistemici sono eccezionali: essa rappresenta la fine
delle economie di scala e della pianificazione; al contrario si
configura come "struttura di risposte contingenti (e solo contingenti)
alle situazioni": emergenza, occasione, possibilità, flessibilità.
E’
un’economia di pura crescita costante, in cui sopravvive solo chi può
produrre rendimenti (e prestazioni) sempre crescenti: non più la
quantità prodotta, ma il tasso di crescita è il nuovo indicatore di
"successo" economico.
L’intervento di Sciortino si propone di completare la panoramica
di trasformazione del sistema capitalistico tracciata nell’intervento
iniziale, andando ad aggiungere da un lato una spiegazione del
meccanismo economico a livello macro (per cui si rimanda alla viva voce
del relatore in allegato all’articolo), dall’altro un excursus sulle
relazioni tra Stati che vanno a formare l’attuale "ordine mondiale".
Quello
che si propone è fare una storia delle condizioni che hanno portato
all’odierna "società del debito", presupposto strutturale della crisi
che stiamo vivendo.
Si parte, in cronologico, sempre dalla crisi di fine anni ’70: il
"compromesso fordista" è saltato e pertanto si cerca di stabilire un
"nuovo patto" che come abbiamo visto nell’intervento iniziale, lega
sostanzialmente il salario e la riproduzione del lavoratore ai
meccanismi finanziari del debito.
A livello macroeconomico, la
"nuova fase" inizia con lo sganciamento del dollaro dall’oro (’71):
viene cancellato l’equilibrio di Bretton Woods, tanto che alcuni
osservatori parleranno successivamente dell’instaurazione di una
"Bretton Woods 2".
Con lo sganciamento del dollaro, si apre una situazione di forte fluttuazione.
Un
nuovo equilibrio viene raggiunto tramite la politica: nel ’71 il primo
incontro bilaterale USA-Cina (con viaggio di Kissinger a Pechino, replicato l’anno successivo da Nixon in persona) inaugura quello che diverrà un rapporto
non solo economico continuativo (tanto che ci si riferirà a questo
binomio con il termine di "G2 informale") tra due delle maggiori
potenze mondiali.
Il rapporto è coltivato da entrambe in chiave
anti-URSS, e andrà ad instaurare un legame anche (e soprattuto)
economico in cui la Cina diventerà il maggior finanziatore del debito
statunitense e nello stesso tempo prenderà il ruolo di guida della
produzione industriale internazionale (quella vera e propria "fucina"
che è il Sud-Est asiatico con il Giappone); nel contempo, gli USA
diventeranno il maggior compratore di merci cinesi, permettendo alla
Cina di mantenere ritmi di sviluppo incredibili e, quindi, di pace
sociale (uno dei primi problemi per un Paese di quasi un miliardo di
abitanti).
La crisi sarà scaricata pricipalmente sull’Africa (a
livello geo-politico, beninteso), destinata a rimanere bacino di
materie prime e di manodopera "trasferibile".
L’accerchiamento subito dall’URSS la spingerà al riarmo, la cui "naturale" conseguenza sarà l’invasione dell’Afghanistan.
Un
inciso: in linea con le teorie espresse dal compianto Sbancor, anche
Sciortino mostra come le ristrutturazioni e il rilancio della crescita
a livello nazionale sono quasi sempre state finanziate con l’aumento
delle spese militari, corse al riarmo e, infine, guerre, sbocco appunto
"naturale" di ogni politica di potenza, anche economica.
La crescita mondiale viene quindi finanziata con il debito USA e si
arriva ai giorni nostri: dopo la crisi dei mutui suprime dell’agosto
2007 (ma immediatamente collegata a quella odierna), le banche si sono
dimostrate insolventi nei confronti dei creditori, cosa che ha portato
alla crisi di fiducia sui mercati, colpendo soprattutto i consumatori
americani, che pertanto hanno portato ad una riduzione della domanda
globale, con ripercussioni su tutti gli altri Stati.
Questo ha
innescato un crollo dei prezzi con immediate ricadute sulle produzioni
di tutti i Paesi. Ecco perchè si è sentito parlare della "crisi che
raggiunge l’economia reale": ma aldilà delle distinzioni, economia
"reale" e economia finanziaria sono ormai da tempo legate l’una
all’altra in maniera che spesso è impossibile distinguerle. Alcune
proposte di sganciare l’economia "sana" da quella "tossica" sembrano
più dettate dalla mancanza di una qualsiasi idea su come agire in
questo momento piuttosto che risultare delle proposte credibili e
attuabili (con buona pace del Ministro Tremonti).
Molti sono gli
interrogativi che rimangono aperti e il primo riguarda il dollaro: cosa
porterà questo sconvolgimento nei mercati globali, in cui il consumo
americano, perno dell’equilibrio, si ritrae lasciando spazio a nuovi
investitori?
Che fine farà il dollaro?
Nel frattempo, le borse
(cioè Wall Street) attendo per la svalutazione del dollaro, in attesa
di capire dove verrà scaricata questa crisi.
E questo fa capire come
anche le politiche del presidente Obama dipendano da Wall Street, oltre
che essere niente di più che un’"aspirina" momentanea per le banche e
alla fine per i mercati, senza risultati certi, totalmente finanziata
tramite nuovo indebitamento statale.
Anche le recenti aperture
all’ecologismo e alla creazione di una "economia verde" possono essere
lette sotto questa luce come un tentativo di aprire nuove produzioni e
nuovi mercati dove "smaltire i rifiuti tossici" generati dal sistema
del debito.
Ultima nota linguistica: dai "toxic assets" si è passati ai "legacy
assets" (pacchetti "screditati"): anche il linguaggio deve fungere da
tranquillante.
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