"Non è una protesta organizzata chiamiamola rivolta popolare"
La situazione è molto grave, si chiedono altri sforzi ai lavoratori
e ci si accorge che il salario medio in trent’anni s’è abbassato
Jean-Paul Fitoussi, pres. Osservatorio per le congiunture economiche
"La chiamano in vari modi, ma le dico io cos’è. E’ una rivolta. Questa è
una rivolta popolare non coordinata, spontanea. E molto pericolosa". Senza
giri di parole, si tratta semplicemente di questo. L’economista Jean-Paul
Fitoussi battezza così gli ultimi incidenti in Francia e il malcontento
che sta esplodendo in altre parti d’Europa. "La gente ha avuto la
sensazione di essere stata presa in giro". Nel giorno del G20, il docente
all’Istituto di studi politici di Parigi e presidente dell’Osservatorio per
le congiunture economiche, pronuncia un giudizio severo, e aggiunge anche
un allarme: "Le fondamenta della democrazia sono in pericolo".
Da dove nasce questa nuova collera popolare?
"L’attuale crisi va esaminata nella sua triplice dimensione: economica,
finanziaria e intellettuale. Contrariamente a quello che si pensa, il vero
ostacolo per una ripresa è l’ultimo aspetto: quello intellettuale. La
crisi proviene infatti da una grande menzogna. Non soltanto dei finanzieri,
ma anche di politici, forse in buona fede, diventati prigionieri di una
dottrina assolutista e che ha prodotto effetti catastrofici".
Era tutto una gigantesca illusione?
"Assolutamente sì. Le faccio un esempio. Ci dicevano che nuovi posti di
lavoro si potevano creare soltanto in relazione alla loro produttività
marginale. I lavoratori dovevano insomma essere pagati in proporzione al
loro apporto produttivo. Eppure scopriamo oggi che, in realtà, la classe
dirigente di molte imprese non veniva pagata con questa regola. Anzi, è
stato esattamente il contrario: la maggior parte dei dirigenti del sistema
finanziario ha avuto una produttività negativa, continuando però a
incassare remunerazioni astronomiche".
Le proteste aumenteranno?
"Ripeto: la gente ha capito di essere stata raggirata. E’ questa la
dimensione forte, pregnante della protesta. Gli incidenti di oggi in alcune
imprese sono manifestazioni di rivolta spontanea. Per tre decenni è stato
raccontato un sistema come verità assoluta. Improvvisamente, ci si accorge
che era un bugia altrettanto assoluta. E’ comprensibile lo choc e la rivolta
nella popolazione".
Come si esce da questa crisi?
"La situazione è molto grave. Ora che si chiedono sforzi supplementari ai
lavoratori, ci si accorge che negli ultimi trent’anni il salario medio si
è globalmente abbassato. In sostanza, abbiamo permesso che fossero
rafforzate le discriminazioni economiche. La dottrina andava fino ad
accettare che le disuguaglianze fossero considerate un fattore positivo di
crescita e dinamismo economico. Questo ha provocato un’ovvia crisi della
democrazia che, per sua stessa definizione, non può sopportare l’aumento
delle disuguaglianze".
Quali sono le responsabilità delle istituzioni?
"Il credo della dottrina in vigore fino al settembre 2008 era che la sfera
politica dovesse essere ben distinta da quella economica. Qualcuno si era
convinto che la democrazia fosse l’applicazione della legge della
maggioranza. E’ profondamente sbagliato. La legge della maggioranza deve
sempre coniugarsi con la protezione delle minoranze".
Cosa si aspetta da questo G20?
"Al di là di quel che diranno i comunicati ufficiali, bisognerà capire se
effettivamente la democrazia sta ritornando. Non dobbiamo guardare solo ai
rimedi economici e finanziari immediati. Quello che si deve valutare con
estrema attenzione è se vi siano elementi nuovi che vadano verso un
ripensamento permanente della gestione degli affari politici, economici e
sociali. Soltanto così si potrà uscire dalla crisi".
(2 aprile 2009)
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